MARVELIT
presenta
IL
PUNITORE
Episodio
14 – Un buon piatto freddo
Di
Valerio Pastore (victorsalisgrave@yhoo.it)
New
Orleans, Missouri
Avete
presente Kathrina, vero? Una gran puttana, non la peggiore della sua categoria,
che con la complicità di ingegneri edili che dovrebbero finire a Guantanamo, ha
affogato mezza città in un batter d’occhio. Tante case distrutte, tanti, troppi
morti.
A
qualcuno all’FBI è venuto in mente di spulciare nell’anagrafica dei residenti
deceduti, filtrare quelli che non avevano eredi, e comprare per il classico
tozzo di pan muffo le case rimaste ragionevolmente in piedi. La maggiore spesa
sarebbe consistita nell’installazione dei più moderni mezzi di sorveglianza, in
modo da trasformare la casa nell’occhio del Grande Fratello.
E
poi dicono che il cinico sono io.
Posso
capire le loro ragioni: normalmente, i sorvegliati del ‘programma protezione
testimoni’ hanno una vita breve. I loro piazzamenti sono prevedibili, e quando
si riesce ad azzeccare una locazione, non si hanno mai abbastanza orecchie ed
occhi per star loro dietro, per sapere di cosa parlano dentro e fuori casa.
Oh,
sì. Meglio precisare: i testimoni si dividono in due categorie, i bravi
cittadini e i criminali. I primi non danno problemi, adorano stare in casa,
giocano a poker con gli agenti, flirtano con loro. Sono i figli adolescenti a
rovinare tutto, di solito; per questo sono un convinto sostenitore del Ritalin
a scuola.
I
criminali sono un’altra cosa: sono mine vaganti, e quando scoppiano lo fanno in
una sola direzione, quella dei rivali che vogliono colpire, o che colpiscono
per procura, per conto di un’organizzazione rivale. Più grosso è il caso, più
difficilmente vanno in prigione: a loro va una bella medaglia, un bel riciclaggio
della fedina e una nuova vita. Naturalmente, è un gioco da ragazzi per loro
aspettare qualche anno prima di mettere su la loro impresa tutt’altro che
pulita. Qualche volta, esagerano e i loro simili preparano loro un bel funerale
corredato con ogni optional di lusso, proiettili inclusi.
Qualche
volta intervengo io.
Per
la cronaca, mi chiamo Frank Castle, ma ormai i soli a usare quel nome sono
quelli dell’anagrafe e i tutori della legge. La gente e i giornalisti mi
chiamano col nome più appropriato: Il Punitore. Le mie prede mi chiamano con
nomi meno educati.
Sono
giunto a New Orleans per fare quello che ai Federali manca il coraggio di fare:
buttare la spazzatura.
I
recenti problemi climatici mi hanno dato una mano. ‘Chip mi ha rubato
l’identità da uno dei tanti barboni di New Orleans, e ho potuto mescolarmi al
flusso di gente tornata dall’evacuazione. Grazie tante, sindaco Naggins!
Ed
eccomi qui, a spingere un carrello della spesa pieno di ammaccature lungo una
strada secondaria scarsamente trafficata. Travestimento semplice, verniciatura
sugli stivali per simulare l’effetto sporco, impermeabile vero lurido ma senza
neppure un buchino, parrucchino di capelli fetidi sotto berrettaccio da baseball
dei New Orleans Zephyrs (anche i barboni hanno il dovere di essere
campanilisti). Bottiglie e lattine vuote tintinnano nel carrello, la rendita
del barbone. E poi qualche bottiglia molotov e delle lattine piene di esplosivo
mescolate nel mucchio, la rendita del Punitore.
Prima
regola di ogni missione: conosci il territorio. E quello che vedevo mi piaceva.
Certo, piaceva anche ai federali che si spacciavano per bravi vicini di casa,
altre identità rubate. La strada era praticamente una spianata, e con la scusa
della paura dei ladri, i ‘vicini’ potevano starsene in casa a giocare alle spie
25 ore al giorno senza destare sospetti. Notare le auto parcheggiate in modo da
essere pronte a correre appena fosse arrivato un portoghese a questa
festicciola. Insomma, nessuna speranza di un blitz, a meno di essere un super.
Che
mondò sarà, se hai bisogno di chiamare Superman! Nah, va bene che c’è la crisi
globale, ma un supermercenario è un rischio accettabile solo se proprio non ne
puoi fare a meno. Troppe variabili in campo, incluso il coefficiente karma:
quando arrivava un supercattivo, in un modo o nell’altro appariva un supereroe,
punto. Comunque, si creano troppi strascichi sui mandanti, troppe indagini.
Seconda
regola di ogni missione: non avere fretta. L’adrenalina si fa partire solo
quando si è pronti a spiccare il balzo sulla preda. E Raymond Mayfield vale la pena di attendere: un capozona del Maggia
di New Orleans, avendo perso tutti i suoi beni a causa di Kathrina, ricercato
per una lista di reati che vi risparmio per pura pietà, ha deciso di trascinare
i suoi ‘colleghi’ a fondo con lui. Essì, e poi dicono dell’onore dei ladri: il
Maggia crede molto nel darwinismo, i deboli affondano e i loro resti vengono
spartiti fra gli altri membri del branco. Senza l’FBI, Mayfield è un uomo
morto. Il processo sarà rigorosamente a porte chiuse, ma non importa: ‘Chip mi
farà avere una copia della lista dei nuovi bersagli.
Mi
chiedo se Raymond abbia pensato anche a me. Dovrò chiederglielo; mi sentirei
offeso se avesse pensato che i suoi vecchi amici siano il suo solo problema.
Insomma, sono stato lontano dalle scene per un po’, non voglio viziarli troppo,
i miei amici.
Circa
due ore dopo, torno alla mia ‘casa’: i resti di una drogheria appartenuta ad un
tale Otis & Figlio. Otis & Figlio sono sepolti in un comodo cimitero
dopo essere stati sepolti dall’acqua nella loro cantina per quasi un mese. Qui
ci costruiranno un Moonbuck, credo. Eau de Cadaverina, miscela speciale per il
vostro espresso!
Chiusa
la porta, mi tolgo l’impermeabile. Lo strato sottile di sapone in polvere non è
stato alterato da impronte indesiderate. Mi dirigo verso la cantina.
La
puzza di muffa, umido e morte non è peggiore di quanto ho dovuto sentire prima
e dopo essere diventato il Punitore. Mi muovo al buio, ho imparato a memoria
ogni angolo dell’ambiente. Mi avvicino alla cassa contenente le provviste
–lattine e bottiglie di plastica. Mi chino a prenderne una di ognuna…
E
lo sento.
Si
muove nell’ombra, come parte
dell’ombra egli stesso. La sua sola presenza ammorba l’aria come una peste
innominabile, stimola i sentimenti più negativi, i terrori più oscuri. Ma non
c’è terrore che non abbia imparato a controllare. I suoi trucchi hanno
funzionato una volta, ed è stata una volta di troppo. “Cosa vuoi, ancora, Mefisto?”
Due
fuochi si accendono alle mie spalle. I suoi occhi, immagino: il diavolo vive di
trucchetti. “Che modo sgarbato di accogliere un benefattore, Frank.”
“Infatti,
sto ancora cercando un modo di ricompensarti per avermi regalato un periodo di
illusioni e follie.”
Mefisto
ride, un sinistro suono chiocciante che è come il suono di teschi che rotolano
sulla rupe della Gehenna. “Sai come si dice, no? ‘Servire sorridendo’. E dopo
tutte le anime che mi hai procurato, mi sembrava giusto ricompensarti ridandoti
una famiglia. Ammetto di essermi un po’ lasciato andare con la storia degli
angeli, ma una buona finzione richiede una coreografia sfarzosa.”
“Primo,
non sono il tuo fattorino. Secondo, se dovrò andare all’inferno per quello che
sto facendo, farai meglio a tenermi in un girone lontano da te.”
Di
nuovo quel verso. Mi appello alla razionalità, che mi dice che svuotare un
intero caricatore su quella cosa non servirebbe a niente se non a rischiare di
farmi scoprire. “Mi sembra che ci siamo detti tutto quello che c’era da dirsi.”
La
sua mano del colore del sangue mi tocca la spalla, trasmette un gelo mostruoso
in ogni osso. Serro i denti. La sua voce al mio orecchio porta con sé un fetore
abominevole, velenoso. Per contro, il suo tono è, in un perverso modo, seducente
come quello di una donna da sogno. “Mi piace
quando qualcuno mi sfida, Frank. Sono coloro che per primi mi serviranno volontariamente, al momento giusto. Stai
tranquillo, non intendo interferire ulteriormente nella tua crociata, ma ti
terrò d’occhio, per quando volessi ripensarci…” La sua voce è una interminabile
dissolvenza. Quando so che è scomparso, mi costringo a non urlare. Mi tengo
tutto dentro, preziose energie per alimentare la mia determinazione.
Tornando di sopra, spero che Raymond Mayfield sia
scortato da qualche suo tirapiedi, magari un federale o due belli corrotti di
cui il mondo potrà fare a meno.
Il
giorno dopo, quasi mi sorprende di non vedere neppure una misura straordinaria
a difendere l’imputato, che viene scortato in bella vista dai suoi angeli
custodi. Del resto, l’area davanti al palazzo di giustizia è praticamente
vuota. I punti chiave sono presidiati dai cecchini della polizia. Se vogliono
sparare a Mayfield, o lo fanno ora, o…
Il
bastardo e i suoi angeli sono dentro. Adesso, devo solo sperare che ‘Chip mi
abbia dato gli strumenti giusti per superare i controlli all’ingresso.
Con
dieci minuti di distacco dal mio amico George, e travestito come un grigio
burocrate, inclusi dei fastidiosi occhiali ed un pessimo dopobarba, entro dalla
porta principale. Il metal detector non mi preoccupa, non quando porto armi
fatte interamente di plastica e fibra di carbonio sotto gli abiti. Modelli
leggeri, ma utili in caso di problemi. La cartella che porto sottobraccio
contiene solo carte. Ma la tessera… Ecco, fosse stato il vecchio Linus a
farmela, mi sarei fidato ad occhi chiusi, ma questo ragazzo ha troppo
entusiasmo e temo poca capacità di concentrarsi sui dettagli…
Luce
verde. Un problema in meno. La guardia mi mostra un sorriso di circostanza e mi
restituisce la tessera intestata a Bruce Kent, avvocato difensore. Una rapida
stampigliata sulla tastiera, e la stampante tira fuori un badge per l’ennesimo
visitatore.
Non
ho problemi ad orientarmi. Come ho già detto, prima regola di ogni missione:
conosci il territorio.
Dopo
essermi mosso in un dedalo di corridoi, passo vicino ad un’aula la cui porta è
stazionata da due poliziotti rigidi come sentinelle militari. Fossi stato un
sig. Jones qualunque, non ci avrei fatto neppure caso –in fondo, sono poliziotti,
giusto? Sbagliato: un professionista le nota le piccole cose come i cavetti degli
auricolari che spuntano dai colletti. E le fondine: belle, lucide, nuove…e
adatte per un calibro che la polizia non
usa.
Potrei
sistemare questi ragazzini, ma passo oltre. Se loro sono qui, e le acque sono
ancora calme, allora tutto va bene…
“Posso
aiutarla?”
Credo
che un dente mi sia appena esploso per la forza con cui li ho serrati. Di
sicuro fa male. Mi volto verso il proprietario della voce, con calma. “Chiedo scusa?”
Un usciere, dannazione!
L’uomo
mi guarda con indagatrice curiosità. Il suo sorriso non ingannerebbe nessuno.
“Non ho potuto fare a meno di notarla, signor…Kent. È la sua prima volta, qui?”
“A
dire il vero, sì.” Sorrido amabilmente, come dovrebbe fare un provincialotto
alla sua prima causa nella grande città. “Il mio cliente deve tenere un’udienza
fra pochi minuti, presiederà il Giudice Crane.”
La
guardia scuote la testa. “Lei è fortunato che il Giudice sia famoso per i suoi
ritardi accademici, oltre che per la sua severità. Prego, mi segua: arriveremo
in un minuto alla sua aula, con l’ascensore.” Indica la cabina aperta proprio
lì vicino.
“Ma
che fortuna…”
Mentre
entriamo, la guardia mi chiede, “E chi è il suo cliente, se mi è permesso di
chiederlo?”
Il
campanello squilla sulla mia risposta. “Un tale Bush. A proposito, anche lei è
nuovo di qui?”
Le
porte si riaprono un attimo dopo. La ‘guardia’ è a terra, ed io mi sto sbottonando
la giacca, rivelando il costume nero con il teschio bianco.
Il
solo modo per ingannare quei federali travestiti è di fare passare qualcuno a
sua volta ben travestito, e chi meglio di un usciere, che ha libero accesso
all’aula? Peccato che gli uscieri non siano soliti scorrazzare lungo i corridoi
di un tribunale, lavoro dei poliziotti. Davvero, questi giovanotti dovrebbero
sceglierseli meglio, all’accademia! “Chip, piano B!”
A
questo puto, sto rischiando il tutto per tutto, ma quanto è vero che se vuoi
uccidere bene qualcuno, devi farlo insieme ad un complice…
Gli
spari mi precedono ad un soffio dall’ingresso all’aula! Estraggo le pistole
dalla giacca e mi getto dentro con un tuffo.
Dentro,
ho appena un secondo per valutare la situazione. E non è così tragica: il
complice del falso usciere ha la pistola puntata su Mayfield. Il mio amico
speciale è pallido da paura, e sangue gli cola da una ferita alla spalla, ma
per il resto sta bene. Il sicario è in ginocchio, la pistola ancora puntata, e
un bel paio di buchi nella schiena. Lui non mi darà problemi, ma maledizione, devo
prendermela proprio con questi ragazzi?
Sono
loro a decidere per me, nel momento in cui mi puntano le pistole addosso. Sì,
sono decisamente sorpresi, come chiunque altro: è arrivato il castigamatti,
signore e signori!
Sparo
due colpi, uno per ogni piede. Tendini e ossa partono per il paradiso dell’ortopedia. Meno felici sono i
loro proprietari, che cadono gridando, concentrati solo sul tremendo dolore. Il
Giudice Winslow, lo stuolo degli avvocati e la stenografa, finalmente
realizzano il casino e si gettano a terra.
Io
mi avvicino allo scranno dei testimoni. Mayfield, reggendosi la spalla, con la
ferita che sporca senza dignità il suo costoso abito italiano, mi guarda come
se fossi il babau uscito dritto dal suo armadio. “Il Pu… Il Puni…”
“Farai
prima a dirmelo quando parleremo a quattrocchi.” Gli mollo un pugno al plesso
solare. Lui si accascia senza problemi contro la mia spalla. Lo prendo al volo
come un quarto di bue, poi prendo una granata dalla cintura e la getto verso
l’ingresso. “Tenete il fiato, signori!” grido, un attimo prima che la granata
esploda in una nuvola nera e fitta.
Fra
i primi colpi di tosse, punto la mia pistola verso la vetrata e sparo. Un paio
di colpi, e la finestra si dissolve in una pioggia di frammenti.
Salto
nel mezzo di quella tagliente cascata.
Un
proiettile dai cecchini della polizia sfiora il mio amico, e prima che gli
altri possano prendere bene la mira, la mia caduta mi porta verso il tettuccio
aperto di un furgone bianco.
Atterro
su una rete elastica. Ne scendo subito e vi deposito Raymond, mentre Chip fa
manovra e parte come una scheggia. Proiettili scoppiettano come popcorn sulla
fiancata ed il parabrezza. Poi tocca al coro delle sirene dei tutori della
legge.
“Senti
quanti! Sempre a fare casino, tu, eh?” si muove agevolmente nel parcheggio,
travolge un’auto blu. Sfonda il
guard-rail, ed entra sulla strada. A quel punto, va a tavoletta. Chip vive di
tre elementi: il cibo spazzatura, la tecnologia e la velocità. Un vero figlio
dei nostri tempi. Uno che potrebbe quasi essere mio nipote, con i suoi venticinque
anni e rotti. Ma gli devo la vita e un mucchio di gadget, e in tali casi non
vado per il sottile.
“Sai
che mi piace essere il cuore delle feste,” gli rispondo, mentre mi appresto a
curare Mayfield. Gli strappo via la giacca, e lui grugnisce. Tranquillo, bello:
se potrò, te ne farò avere una nuova per la tua sepoltura.
“Sicari?”
“Un
paio, roba facile. Anche loro volevano tenere un basso profilo, mentre il sosia
giocava a L.A. nel ‘processo del secolo’.” Sì, i federali se l’erano giocata
bene, usando tanti di quegli specchietti per le allodole da estinguere la
specie, mentre il mio amico veniva spremuto a debita distanza e in tutta
tranquillità… “Riesci a seminarli?”
“Tranquillo,
Puni: mi basta solo arrivare al rettilineo… Ha!” schiaccia un pulsante sul
volante. “Tieniti, amico, che si vaaa!” conclude con un trionfale tono
baritonale che non ti saresti aspettato. Subito dopo, il motore del furgone va
su di giri e per un momento penso al ronzio di un’astronave di un telefilm che
vedevo da ragazzino. L’odometro digitale schizza fulmineo fino a valori degni
della Formula 1. Le sirene della polizia si perdono in distanza.
Dopo
un paio di minnuti, torniamo alla velocità di crociera. “Oltre non posso
andare,” mi dice Chip. “Ci sono le curve, e alla velocità di prima tanto
varrebbe scrivere subito testamento.” Si passa la mano su una ciocca lunga che
gli pende sulla fronte, un suo tic.
“Peccato,”
dico io, guardando dal finestrino. “Ci avrebbe fatto comodo.”
Gli
elicotteri blu sembrano spuntare dalle cime stesse degli alberi, due grossi
mosconi arrabbiati.
Chip
non ne è turbato. “Tutto lì? Trovi l’insetticida nell’ultimo cassetto a destra,
tesoro.”
Avremmo
dovuto fare quattro chiacchiere sulla sua eccessiva familiarità, ma per ora mi limito
ad aprire il cassetto in questione. Ne estraggo una specie di doppietta
modificata per ospitare un paio di bobine di rame, e un piccolo arpione
inserito in ogni canna.
“Un
colpo un centro, mi raccomando,” dice Chip. “Devi solo prenderli in prossimità
del gruppo motore, e dovranno scendere che gli piaccia o no.”
Osservo
la bobina. “Lunghezza del cavo?”
“Duecento
metri.”
“Allora
rallenta.”
La
manovra ha l’effetto sperato: al momento, i mosconi sono i soli mezzi con una
speranza di catturarci. Uno si piazza dietro di noi, l’altro davanti. Sanno che
siamo corazzati, e si preparano a colpire il parabrezza, il solo punto debole.
È
a questo punto che apro la portiera. Punto il fucile e faccio fuoco. So
esattamente dove colpire, e la fiocina fa il suo dovere infilandosi in
prossimità del gruppo elettrogeno.
Niente
esplosioni, niente effetti speciali. Sento solo ronzare il fucile, e un attimo
dopo il motore dell’elicottero comincia a gemere come un animale ferito. Poi
inizia a perdere quota, i giri delle pale ridotti sempre di più. Torno dentro
mentre l’apparecchio precipita fra gli alberi.
Se
Chip avesse una cresta, ci sfonderebbe il tettuccio. “Un taser per i motori.
Forte, eh?”
Contemplai
l’arma. “Utile.”
L’altro elicottero va ad atterrare vicino
all’apparecchio caduto. Viva il cameratismo.
Quartier
generale dell’FBI, Quantico, Virginia
“Signori, posso capire che il Maggia potesse in
qualche modo risalire alla vera locazione del processo. Lo so che vi sembra un
atto di sfiducia, da parte mia, parlare così, ma lo avevamo messo in conto.
Infatti, la buona notizia è che il killer è stato freddato prima che potesse
sparare più di un colpo (ed è stato un colpo davvero di troppo). Ma…il Punitore?” Alex Cabot era un veterano, aveva sventato
complotti, era passato su parecchie leggi per arrestare i nemici del suo paese,
e ne era sempre uscito pulito, era sopravvissuto ad almeno un paio di agguati e
tre sparatorie e aveva le cicatrici per provarlo. Alex Cabot era arrivato a un
anno dal pensionamento, e vedersi il curriculum macchiato da un così eclatante
fallimento era…insopportabile. “IL
PUNITORE!?” Non ebbe bisogno di agitare i pugni o di sbatterli sul tavolo.
Bastò il tuono della sua voce a fare temere ai presenti per la loro pensione. C’erano diversi Cabot
nell’FBI, ma uno solo era e poteva chiamarsi ‘Killer’ Cabot. E adesso era tempo
di mietere teste. “Non so cosa sia peggio: che quello psicopatico sia entrato
in un tribunale, preso il nostro uomo e fuggito senza che vi fosse una
resistenza degna di tal nome, o che abbia seminato 100 uomini altrettanto
facilmente! Voglio che mi troviate ogni informazione, ogni straccio di dato sul
suo nuovo complice! Entro domani voglio qualcosa,
o dopo dovrete giustificarvi davanti a Dio Onnipotente in persona!” Si mise
seduto. Quanto a Mayfield, non si faceva illusioni: Castle lo avrebbe spremuto
fino ad ottenere ogni minimo dettaglio, prima di ucciderlo. E Castle sapeva
bene come fare cantare anche i sassi… Se
solo avesse deciso di lavorare per noi!
Niente
di meglio della buona, vecchia secchiata d’acqua per aiutare un timido a
riprendersi. E poi, vuoi mettere il piacere di vederli annaspare come pesci
fuor d’acqua, ancora sospesi fra il piccolo choc e quello grande, quando
capiscono di essere finiti nella merda?
“Il
signore ha dormito bene?” gli chiedo, chino su di lui. Intorno a noi ci sono le
spesse pareti in tronco di un capanno abbandonato da tempo, senza finestre. La
sola luce viene da una candela in un angolo.
Raramente
ho visto un’espressione così rassegnata in un uomo. “Senti, Punitore, guarda
che se volevi sentirmi cantare, ti sarebbe bastato mettere un microfono
nell’aula. Ti dirò quello che vuoi sapere, come lo avrei detto ai federali, se
mi lasci vi*” è anche un piacere quel versetto stridulo che emettono quando
punto un K-Bar alla loro gola.
“Così
mi offendi, però: lo sai che io non sono un credulone come i federali. Lo sai
che io so. So che sei un tipo ambizioso,
Raymond, so che nel Maggia hai passato anno dopo anno ad accumulare
informazioni, conoscenze e soldi per preparare la tua piccola rivolta contro il
gran capo in persona e sua figlia. Ti capisco: il Conte Nefaria e Madame Masque sono un po’ troppo conflittuali con i
super, e questo attira attenzioni indesiderate da parte loro. Vi state
preparando in tanti a questo colpo di mano, ma tu sei il solo che Kathrina
abbia mandato in rovina. Di’ la verità, ai federali avresti dato quello che
bastava per qualche bel colpo contro gli amici dei tempi belli, e allo SHIELD
avresti dato il resto e bingo! Un buon ritiro di gran lusso servito su un
piatto d’oro. Ci ho azzeccato?”
“Solo
fino alla parte dello SHIELD,” mi risponde lui. “Ci sono altre organizzazioni
che neanche conosci che farebbero un ottimo uso delle informazioni che
possiedo.”
“Errore:
che io possiedo. A te basta solo
dirmi dove trovarle, e saremo tutti felici.”
“Tutti
tranne me.” Mi guarda sempre con quell’espressione rassegnata. “Lo sappiamo
cosa fai ai criminali, Punitore.”
Annuisco.
“È vero. Ma sai anche cosa faccio a loro, prima?”
Credo che abbia visto le parole inespresse nei miei occhi, perché i suoi gli
diventano grandi grandi, come quelli di Bambi prima del cacciatore. Guarda il
coltello come se fosse una cosa viva. Deglutisce.
Gli
mostro un sorriso che spero consideri rassicurante. “Vista l’importanza di quei
dati, voglio essere generoso: non ti torcerò nemmeno un capello, se sarai
assolutamente sincero. E tu sai che a quelli come te non faccio simili promesse
tanto facilmente.”
Gli
ci vuole un minuto o due per decidersi, lo capisco e non lo presso
ulteriormente. Alla fine, si permette un sorriso pieno di speranza. “Sono
custoditi in internet. Dati altamente cifrati. Ho speso giorni per imparare il
modo per accedervi, e una volta aperti i file avete un’ora per scaricarli prima
che si autodistruggano. Ci vogliono macchine potenti per fare questo lavoro. E
ricorda, devi operare nella esatta sequenza che ti sto per dare, o
l’autodistruzione partirà comunque.”
“Sono
tutt’orecchi. Amico.” E lui parla, parla per quasi mezz’ora, sciorinando una
cacofonia di URL, dati di login e di ISP che per me potrebbero appartenere alla
lingua marziana. Quando finisce, parlo attraverso il microfono sottocutaneo
nascosto nella gola. “Tutto chiaro, Chip?”
“Con
questi dati, balleremo il rock del diavolo, capo!”
Spero
che fosse un sì. Mi alzo in piedi, e prendo un secondo secchio pieno d’acqua
che sta in un angolo. E lo svuoto contro il mio caro, caro amico Raymond. Non
in faccia, ma in modo che si bagni per bene il resto.
“Maccheccazzo??
Insomma, cos’altro vuoi da me? Ti ho detto tutto, di più non so!”
In
risposta, dalla cintura prendo un bengala. Raymond segue il mio sguardo verso
il mucchio di sterpaglie e legna che corre lungo i lati del capanno. “Mi avevi
promesso…”
“Che
io non ti avrei torto un capello; il fuoco non sarà altrettanto gentile. Vedi,
Raymond, tu hai fatto tanto male a tanti innocenti, dai bambini alle prostitute
per i tuoi affari nel porno. Hai organizzato combattimenti clandestini di cani.
Hai venduto farmaci scaduti al terzo mondo… Non sei stato un bravo ragazzo,
Raymond. E io non ho scelto di chiamarmi Punitore per lasciare vivi quelli come
te. A proposito, ti ho infradiciato perché tu non bruci subito; durerai qualche
minuto in più, il tempo di maledire il giorno in cui hai fatto la tua prima
vittima. Goditelo.” Spezzò il bengala e lo getto fra la legna. Prende subito
fuoco che è un piacere. Raymond inizia ad urlare, ad imprecare, ad agitarsi
contro le catene.
Quando
raggiungo il furgone, ben parcheggiato dentro un vecchio fienile, il capanno
sta bruciando che è un piacere. ‘Chip mi sembra nervoso, mentre fissa il rogo,
ma è ancora giovane, si abituerà.
“Comincia
a lavorare su quei dati, ragazzo: abbiamo parecchio lavoro che ci aspetta.”
NOTA
DELL’AUTORE: E comincia qui la mia gestione del Punitore dopo la lunga assenza
del collega Pablo dalle scene. Mi rendo conto di essere stato un po’ sbrigativo
nella risoluzione di una parte della vecchia gestione, ma personalmente
preferisco il nostro Castle in versione più ‘classica’. Le altre trame sospese,
come quella del Cecchino, verranno risolte a tempo debito. Per ora,
accontentavi l’introduzione di un nuovo Microchip al posto del vecchio Linus. E
per il resto, che dire? Sperem!